Diastasi dei retti dell’addome. Un problema sottovalutato

 

Abbandoniamo per un attimo le spiegazioni scientifiche, i trattati di anatomia e chirurgia e i consigli di fitness e alimentazione. Vi spiego cos’è stata la diastasi per me.

Una tragedia. Un dramma. Quasi una vergogna.

La diastasi ha condizionato la mia vita sia dal punto di vista professionale che personale. Mi ha costretta a cambiare il mio modo di vestire, mi ha fatto sentire in imbarazzo ogni volta che mi domandavano: “ma sei di nuovo incinta?”, mi ha disorientata e depressa. Mi ha fatto arrabbiare. Tanto. Mi ha fatto pensare che non ci fossero soluzioni, che fossi condannata. Mi ha fatto sentire vecchia prima del tempo. Ha logorato la mia autostima. Ha vanificato i miei sforzi tutte le volte che tentavo di migliorarla e la vedevo solo peggiorare. Perché non esisteva dieta né esercizio che riuscissero a far tornare la mia pancia a come era prima della gravidanza.

Questo elenco così pietoso ha preso vita qualche anno fa successivamente ad una visita medica di routine, durante la quale la mia ginecologa ha dato un nome al mio nemico definendolo “diastasi”. Era la prima volta che ne sentivo parlare. Mai un accenno sui libri di testo che mi avevano accompagnata durante il percorso di laurea in educazione fisica ne’ durante il corso pre parto. La stessa dottoressa in quella occasione mi aveva spiegato come riconoscerla ed individuarla e mi aveva assicurato con espressione di circostanza che la soluzione poteva solo essere chirurgica.

Poco tempo dopo, durante uno stage di formazione per l’insegnamento della ginnastica post parto, con la stessa faccia di circostanza, la docente titolare del corso aveva affermato che solo il bisturi poteva salvare le donne come me dalla diastasi.

Sembrava non ci fosse scampo al tavolo operatorio.

Realizzare che non me la sarei mai sentita di sostenere un’operazione chirurgica è stato un attimo. Non era solo per la paura del bisturi e degli aghi, il problema era che non riuscivo a pensare di poter fare fronte ad un intervento e una convalescenza post operatoria che mi tenessero lontana dai miei impegni e, soprattutto, dalla cura della mia famiglia.

Scartata senza esitazioni l’idea di andare a finire sotto i ferri, ho avuto la semplice e geniale idea di provare a mascherare la mia pancetta attraverso un abbigliamento modello taglie forti. Peggio di prima. Come conseguenza ho cominciato a non sentirmi più a mio agio di fronte agli specchi delle sale nelle quali da anni insegnavo aerobica, step e total body. Poi l’imbarazzo è passato agli specchi di casa mia. Subito dopo sono arrivata alla conclusione che le vacanze al mare non mi piacessero poi così tanto. E da lì in avanti faccio fatica a tenere il conto delle cose alle quali mi fossi messa in testa di rinunciare. In certi casi non mi riconoscevo più.

Il tempo passava ed io aspettavo il momento della rassegnazione. Cercavo di convincermi che presto o tardi mi sarei arresa all’inevitabile e irrisolvibile mia nuova “forma” fisica. Ma quel momento non arrivava mai, perché essendo laureata in scienze motorie, ed essendo il movimento e l’esercizio i miei campi di competenza, non riuscivo a abbandonare l’idea di trovare soluzioni naturali, attraverso l’esercizio fisico, alternative alla chirurgia.

La mancanza di informazione sulla diastasi è disarmante.

Questa è stata la prima vera difficoltà che ho riscontrato quando sono passata all’azione e sono partita alla ricerca di notizie più dettagliate e precise sull’argomento. Se non avessi avuto un mio personale bagaglio culturale e non avessi ripreso in mano i libri di anatomia, fisiologia e biomeccanica, non avrei saputo come distinguere tra le indicazioni utili e sensate e quelle quasi dannose. Certo è che alcune delle informazioni che mi sono tornate vantaggiose le ho acquisite per caso, altre per intuizione personale. E questo è quasi ridicolo.

Il lavoro di ricerca, studio e applicazione pratica su me stessa è stato interessante e impegnativo e mi ha tenuta molto occupata per almeno tre anni: sbrogliare la matassa di informazioni confuse, contraddittorie, a volte incomplete e poco fruibili aveva lo scopo di risolvere un problema che mi stava cambiando non solo a livello fisico, ma anche emotivo. In peggio. Un problema che sentivo solo mio.

Il giorno in cui ho alzato la testa dai libri e ho iniziato a parlare della diastasi, ho conosciuto altre donne che come me non riuscivano a capirne le ragioni e ad orientarsi alla ricerca di una soluzione non chirurgica. Quasi tutte mi hanno confessato di non riconoscersi più, di stare male con se’ stesse, di essere scoraggiate e di provare vergogna per il malessere dovuto ad una condizione fisica sicuramente sottovalutata e sulla quale non esiste praticamente alcuna informazione chiara e fruibile. Mi sono detta: “sono una di loro” e questo è stato un vero conforto. Posso dire con certezza che quando ho capito di non avere un problema unico al mondo, ma comune a molti (uomini compresi), ho trovato il coraggio di uscire allo scoperto e ammettere il mio malessere. Mi viene da pensare che questo possa essere utile anche ad altre persone e che valga la pena condividere le mie ricerche, le mie conclusioni e il mio futuro impegno.

Se è vero che della diastasi si parla poco e male, è altrettanto vero che del disagio personale che ne deriva non si parla affatto. Eppure la sofferenza di molte donne, se pur taciuta o ignorata, è reale. L’ho provata io stessa.

Voglio partire da qui per parlare delle soluzioni naturali alla diastasi dei retti dell’addome.

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