di Nadine La Blasca – fisioterapista specializzata nella diastasi addominale, problematiche del pavimento pelvico e Trained Professional of the Tupler Technique®
La domanda “Riuscirò a chiudere la mia diastasi?” è frequentemente posta dalle pazienti durante il percorso riabilitativo.
Ma cosa si intende per “chiudere la diastasi”?
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Risolvere la diastasi implica effettivamente una completa chiusura della separazione dei muscoli retti addominali? Per comprendere pienamente questo concetto, è necessario fare un passo indietro e analizzare la problematica della diastasi in modo più ampio, considerando i suoi molteplici aspetti.
La diastasi dei muscoli retti addominali rappresenta un fenomeno complesso che coinvolge diversi piani:
funzionale, strutturale ed estetico.
Problema funzionale: la diastasi determina una modifica delle forze e delle tensioni che agiscono sull’addome, compromettendo la risposta adeguata alle iperpressioni generate al suo interno, come quelle causate dalla respirazione forzata, dal sollevamento di carichi o da altre attività fisiche. La separazione dei muscoli retti riduce la capacità di stabilizzazione del tronco e compromette la funzione di supporto degli organi addominali. Inoltre, la perdita di tonicità dei muscoli addominali e la compromissione dell’elasticità della fascia, dei legamenti e dei tendini riducono la capacità di risposta a sollecitazioni biomeccaniche.
Problema strutturale: la linea alba, una struttura fibrosa che collega i muscoli retti addominali, si distende e si assottiglia a causa della separazione muscolare. Questo comporta una riduzione della quantità di collagene ed elastina, fondamentali per la resistenza e l’elasticità dei tessuti connettivi. In casi più gravi, alcuni muscoli addominali possono subire danni strutturali, e la presenza di infiltrazione di tessuto adiposo nei muscoli compromette ulteriormente la loro capacità contrattile, limitando la funzionalità dei muscoli stessi.
Problema estetico: la diastasi può comportare la comparsa di pelle in eccesso, smagliature e lassità cutanea, alterando l’aspetto estetico dell’addome. Questo fenomeno può essere particolarmente evidente dopo una gravidanza, dove la distensione della parete addominale è più marcata, ma può verificarsi anche in altri contesti, come nell’obesità o dopo interventi chirurgici addominali. Il quadro estetico può essere quindi significativamente alterato rispetto alla condizione pre-gravidica o pre-patologica.
Affrontiamo queste tre problematiche considerando quanto un programma di recupero possa influire su questi aspetti.
Per quanto riguarda la componente estetica, il riabilitatore spesso avverte che i risultati in questo ambito sono limitati e che la chirurgia rappresenta il trattamento di elezione per risolvere in modo definitivo le alterazioni estetiche. Sebbene il miglioramento estetico possa essere considerato un effetto secondario auspicabile nel programma di riabilitazione, non rappresenta l’obiettivo principale del trattamento conservativo. Possano essere utili trattamenti dermatofunzionali per migliorare la lassità cutanea ma la riduzione dell’eccesso di pelle rimane un’indicazione chirurgica.
Per quanto concerne la componente strutturale, è ben noto che i tessuti biologici si rimodellano in risposta agli stimoli meccanici a cui sono sottoposti. L’esercizio fisico rappresenta un mezzo efficace per indurre il giusto stress meccanico, necessario a stimolare l’attività dei fibroblasti. Queste cellule sono fondamentali nella sintesi di collagene ed elastina, proteine essenziali per la riparazione dei tessuti e per il mantenimento della loro integrità strutturale.
Per ottimizzare i risultati, è possibile integrare l’esercizio fisico con l’uso di dispositivi elettromedicali che favoriscono l’attività fibroblastica, come micro correnti, radiofrequenza e onde d’urto. Quando utilizzati da professionisti qualificati e secondo protocolli specifici, questi strumenti possono supportare efficacemente il trattamento terapeutico, che rimane comunque il fondamento del recupero, dato che: a che serve migliorare l’aspetto strutturale, se non siamo in grado di attivare correttamente la muscolatura addominale? In tal caso, si rischierebbe di continuare a distendere i muscoli e il tessuto connettivo, vanificando i progressi ottenuti.
Per quanto riguarda la componente funzionale, essa costituisce il nostro principale obiettivo terapeutico.
Attraverso specifici esercizi, possiamo ripristinare la corretta funzionalità delle strutture muscolari e fasciali, consentendo alle forze di essere trasmesse correttamente attraverso la linea alba.
Il rinforzo muscolare della parete addominale permetterà di recuperare il ruolo di supporto del core, stabilizzando il tronco durante i movimenti che richiedono forza.
Migliorare lo schema respiratorio, in cui i muscoli addominali sono coinvolti, avrà anche effetti positivi su altri aspetti fisiologici, come la digestione e il ritorno linfatico. La postura, compromessa dalla perdita di tono della muscolatura addominale, si riequilibrerà, apportando benefici a tutto l’organismo. Inoltre, il pavimento pelvico, strettamente intercon
nesso con la parete addominale, si rinforzerà insieme ad essa, e non sarà più sottoposto a alterazioni nelle direzioni delle pressioni. Un addome forte e competente sarà in grado di gestire adeguatamente le pressioni interne, riducendo il rischio di sovraccarichi e disfunzioni.
Di conseguenza, movimenti funzionali come alzarsi, piegarsi, sollevare oggetti e svolgere attività che richiedono stabilità e forza addominale diventeranno più facili e non costituiranno più un ostacolo.
È indubbiamente rilevante la condizione dei nostri tessuti, ma ciò che risulta ancor più fondamentale è la nostra capacità di attivarli in modo appropriato.
Fatta questa premessa, ritorniamo alla domanda iniziale: cosa significa “chiudere la diastasi”?
Il nostro obiettivo non è semplicemente ridurre al minimo la separazione tra i muscoli retti addominali, ma garantire che tutte le strutture coinvolte nella funzionalità dell’addome lavorino in modo ottimale.
Infatti, se così non fosse, non riusciremmo a spiegare perché pazienti con una diastasi e una distanza maggiore fra i retti possano avvertire meno sintomi rispetto a quelli con una distanza minore.
Focalizzarsi esclusivamente sulla misurazione in centimetri della IRD (Inter Recti Distance) risulta essere un approccio riduttivo, poiché non tiene conto di un altro parametro altrettanto cruciale: l’indice di distorsione della linea alba.
Per illustrare meglio questo concetto, consideriamo il seguente esempio pratico.
Immaginiamo di prendere un foglietto e misurare la distanza tra i due bordi: 15 cm.
Successivamente, pieghiamo il foglietto a fisarmonica e misuriamo nuovamente la distanza tra gli stessi bordi: 5,5 cm. In questo caso, la distanza si riduce, ma non per una vera e propria “perdita” di lunghezza, bensì a causa di una diversa distribuzione della lunghezza stessa.
Questo principio può essere applicato alla linea alba: non è detto che una diastasi con un IRD di 5,5 cm sia meno grave di una con una distanza maggiore, poiché è necessario considerare quanto la linea alba sia perturbata o compromessa.
In effetti, una linea alba tesa, anche se con una separazione maggiore tra i retti, avrà una capacità di trasmettere e rispondere alle forze molto più efficace rispetto a una linea alba alterata o “distorta”.
Questa è la chiave di volta per comprendere che non è tanto la misurazione in centimetri ad avere importanza, quanto piuttosto l’obiettivo di ottimizzare il funzionamento delle strutture coinvolte.
Ma allora come posso valutare se sto ottenendo risultati tangibili?
La risposta sta nel considerare tutti gli altri parametri che devono essere monitorati quando si valuta una diastasi.
Questi includono: la presenza di sintomi correlati, lo spessore del tessuto connettivo, eventuali alterazioni posturali e respiratorie, la capacità di gestire correttamente la pressione intra-addominale, l’interferenza con le attività quotidiane e sportive, e, non da ultimo, il grado di qualità della vita percepito dal paziente.
Se, al termine del percorso terapeutico, osserviamo un miglioramento significativo in tutti questi aspetti, anche in assenza di un ritorno completo dell’IRD ai valori fisiologici, considero comunque il trattamento un successo terapeutico.
- Riesci a svolgere le attività quotidiane senza problemi?
- Sei ritornata a praticare lo sport che ami senza difficoltà e senza il timore che “possa far male”?
- Non hai più tutta la sintomatologia di cui mi raccontavi: mal di schiena, disturbi nella digestione, reflusso, ecc?
- Non hai più quel fastidioso gonfiore che trasforma visibilmente la tua pancia da mattina a sera? Non hai più incontinenza urinaria o un’aumentata frequenza minzionale?
Allora la tua Diastasi è risolta. A prescindere dei centimetri.
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Riabilitazione del pavimento pelvico
Trainer Professional of the Tupler Technique

per contattare Nadine: nadinelbfisiodiastasi@gmail.it
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